Dopo la sua nascita alla fine dell’800, la plastica ha preso piede negli anni 60 come parte integrante e indispensabile della vita quotidiana, come anche nel campo della moda, del design e dell’arte prendendo le forme più svariate.
Oggi la sua corsa sembra quasi giunta al termine, lasciando dietro di sé una lunga serie di effetti disastrosi per l’ambiente: uno dei maggiori danni causati dalla plastica sono dovuti al suo malo smaltimento, perciò sarebbe bene ridurre al minimo il rischio di incorrere in ulteriori danni per l’ambiente riciclando questo materiale nel modo migliore, trasformandolo in altro.
Dal 1950 fino a oggi sono state prodotte 8 miliardi di tonnellate di plastica di cui solo il 10% è stato riciclato; ciò significa che la maggior parte della plastica prodotta è dispersa nell’ambiente e far crescere questa percentuale di riciclo è una responsabilità di ogni singolo essere umano sulla terra.
L’isola che c’è e si vede
Nel 1980 venne scoperto un immenso accumulo di plastica nell’oceano pacifico: il Great Pacific Garbage Patch è la prima aggregazione di plastica a essere scoperta; dagli studi è emerso che si è formata grazie all’opera delle correnti oceaniche che hanno portato al centro dei vortici oceanici i rifiuti provenienti dai fiumi degli stati più vicini (Cina, India, Nigeria, Indonesia, Brasile, Filippine e Birmania).
L’isola di plastica del pacifico, tra le coste della California e le isole Hawaii, prende lo spazio per un’ampiezza quasi 3 volte quella della penisola iberica, misurando circa 1,6 milioni di km2.
Per il 43% l’isola è composta di reti da pesca, il restante sono plastiche rigide come polietilene e polipropilene, di cui l’80% tra quelli analizzati erano rifiuti speciali pericolosi, conteneva cioè sostanze tossiche.
Attualmente queste isole sono cresciute di numero e di ampiezza, se ne contano altre cinque sparse in tutto il mondo.
L’allarme del World economic Forum porta all’attenzione e alla sensibilità dell’uomo i dati sulla densità degli accumuli di plastica rispetto alla vita marina a rischio:
La plastica presente nei mari nel 2050 potrebbe raggiungere cinque volte il peso di tutte le creature marine esistenti.
Entrando in contatto con queste isole i pesci muoiono perché impigliati tra i rifiuti, altri invece mangiano i frammenti di plastica più piccoli alterando così la catena alimentare per finire sulle nostre tavole: la fauna marina è la prima vittima di questo inquinamento, ma se si continua seguendo questo ritmo la prossima vittima sarà l’uomo.
L’appello al cambiamento lanciato dal World economic Forum è forte e deve partire dai consumatori, nonché generatori di rifiuti. Come?
Intanto nel mondo c’è qualcuno che pensa a sviluppare le tecnologie per dare sostegno all’ambiente e migliorare la qualità della vita su questo pianeta, ma chi non ha la predisposizione a pensare così in grande può anche solo limitarsi a fare bene la raccolta differenziata e prendere consapevolezza dell’inutilità degli imballaggi delle monoporzioni di frutta o dell’acquistare 5 detersivi nuovi anziché comprare la ricarica e riciclare il contenitore.
Quale plastica si può utilizzare più volte?
La plastica è costituita da polimeri (macromolecole) costituite a loro volta da monomeri (particelle più piccole di carbonio e idrogeno) che si ricavano dal petrolio e dal metano. Esistono oltre 50 le tipologie di questo materiale e le differenze possono essere tante.
Le principali differenze tra le plastiche di consumo si possono trovare per aspetto esteriore e destinazione d’uso:
- PE (polietilene): materiale di cui sono fatte cassette, nastri adesivi, bottiglie rigide, sacchi per la spazzatura, tubi e giocattoli;
- PP (polipropilene): pensato per la produzione di arredamento, contenitori alimentari, flaconi per detersivi e prodotti per l’igiene personale e moquettes;
- PVC (cloruro di polivinile): lo si trova nelle vaschette per le uova, tubazioni e pellicole isolanti anche tra i muri di casa, nelle porte, nelle finestre e nelle carte di credito;
- PET (polietilentereftalato): presente soprattutto nelle bottiglie di bibite e di acqua minerale, ma anche per la produzione di fibre sintetiche;
- PS (polistirene, noto come polistirolo): usato per produrre vaschette per alimenti, posate, piatti e tappi.
In generale tutte le plastiche sono progettate affinché abbiano lunga vita e mantengano la propria qualità nel tempo, ma è sempre meglio avere un occhio di riguardo per ciò che contiene cibo o bevande che poi andranno ingerite.
In particolar modo si tende a riutilizzare le bottigliette di acqua in PET anche se queste sono progettate e commercializzate per essere utilizzate una sola volta, quindi una volta svuotate dovrebbero essere smaltite.
Oltre al favorire la proliferazione batterica, un utilizzo prolungato di questo genere di plastica potrebbe intaccarne le caratteristiche sia tecnologiche che chimiche e far si che i componenti chimici entrino a contatto con la bevanda.
Come viene smaltita?
Se abbandonati nell’ambiente questi tipi di materiali impiegherebbero dai 100 ai 1000 anni per degradarsi eppure lo smaltimento della plastica è semplice e conviene a tutti.
Successivamente alla raccolta la plastica è trasportata agli impianti di smistamento dove avviene il primo trattamento. Una volta selezionato il materiale viene trasformato per ottenere una materia prima secondaria con caratteristiche molto simili a quelle del prodotto iniziale.
Dallo smaltimento della plastica è possibile ottenere nuovi prodotti, ma anche elettricità e calore: per questo si può dire che esistono tanti modi di riciclare la plastica.
Il riciclaggio meccanico prevede la trasformazione da materia a materia: la plastica non più utilizzata diventa il punto di partenza per nuovi prodotti.
Riciclando PET, PVC e PE i nuovi prodotti che si possono avere sono:
- fibre per imbottiture, maglioni e indumenti in pile, moquette, interni per auto o lastre per imballaggi;
- tubi, scarichi per l’acqua piovana e raccordi del settore edile prodotti col PVC;
- nuovi contenitori per i detergenti di casa o per uso personale, tappi, pellicole per imballaggi ottenuti con il PE;
- panchine, recinzioni, arredi per la città e cartelloni stradali.
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Il riciclaggio chimico prevede il ritorno alla materia base trasformandola nuovamente in monomeri di pari qualità di quelli vergini ottenuti dalla raffinazione del petrolio.
La plastica non riciclabile può essere destinata al recupero energetico mediante il processo di termovalorizzazione: derivando dal petrolio, infatti, la plastica mantiene le sue proprietà combustibili conservando un potere calorifico paragonabile a quello del carbone.
Considerando tutte queste modalità di riciclo sembra impossibile pensare alle tonnellate di rifiuti presenti in chilometri quadrati dell’oceano pacifico, materiali che potrebbero essere una risorsa per noi piuttosto che un danno per tutti.